venerdì 23 marzo 2012

Racconto: Capitolo X

Mi faccio trovare fuori dalla porta del bagno, in ginocchio, a testa bassa, cercando di farle capire quanto sono contrito per l'errore che ho fatto. Lei mi passa accanto senza degnarmi di un'attenzione, va in camera e la sento vestirsi. Non so se possa esistere per uno schiavo una punizione peggiore del silenzio della propria Padrona. Quell'essere ignorato mi devasta più di qualsiasi parola, mi lascia in un limbo di paura e incertezza che si trasforma in autentico dolore fisico. La voglia di piangere è tanta e cresce di attimo in attimo, alimentata dalla sua totale mancanza di considerazione. Passano minuti lunghi come ore mentre io non riesco a staccare lo sguardo dal pavimento e mi sento stupido lì, in mezzo al corridoio, incapace anche solo di pensare nello stato di confusione in cui mi trovo.
Poi la sua voce arriva improvvisa e secca:"Angelo, qui". Il cuore mi salta in gola per l'emozione e mi avvicino a Lei a 4 zampe. Sento i suoi occhi addosso, mentre i miei restano a fissarle i piedi e mi sento tremare come una foglia. "Non amo punire, te l'ho già detto" continua autoritaria e decisa "ma il mio compito è quello di guidarti e addestrarti. E questa volta ritengo che un castigo sia necessario." Annuisco come un automa, prostrato, più che dalla paura, dalla vergogna e dal dispiacere di averla delusa. "Scopri le spalle e inginocchiati accanto al letto, non voglio sentire un lamento", le sue parole sono dure e non oso far altro che obbedire. Mentre mi tolgo veloce la maglia e mi sistemo come mi ha ordinato la vedo sfilare la sottile cintura dalla gonna che ha indossato. Ne avvolge il lato con la fibbia intorno alla mano e io stringo i denti domandandomi con sgomento quanto forte sarà il dolore che sentirò. Abbasso il viso sul letto coprendolo con le mani. Trascorrono secondi interminabili poi un primo colpo secco e bruciante mi attraversa come una scossa la schiena, un gemito mi sfugge mentre mi mordo le labbra per non urlare. Appena il tempo di metabolizzare la fitta e una seconda frustata si sovrappone alla precedente facendomi uscire una lacrima, poi un'altra e un'altra... Quando la rabbia della Padrona si placa scivolo piano a terra, avvicino il viso ai suoi piedi e li bacio con sincera gratitudine. "Grazie per l'insegnamento che mi ha donato" sussurro. Non posso vederla ma sono certo che sta sorridendo. Ora è contenta del suo servo.

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